Separazione, alienazione parentale, effetti sui figli, coniuge più debole.

La giurisprudenza di legittimità, nell’ambito delle fattispecie in cui uno dei due genitori agli occhi della figlia o del figlio va a denigrare l’immagine paterna è incline a riconoscere la c.d. sindrome di alienazione parentale. Una scena che, purtroppo, troppo spesso si ripete: in costanza di separazione il coniuge inizia una campagna denigratoria nei confronti del marito o della moglie, con conseguente opera di persuasione (diretta o indiretta) sui minori, volta a ingenerare in quest’ultimi l’odio verso l’altro genitore. Il tutto può portare anche alla definitiva rottura dei legami tra questi. Insomma, si tratta di un contegno volto a manipolare i minori che, in questo caso, diventano il campo di battaglia di una guerra “tra grandi”.

Gardner, nel 1985, fu il primo a dare una definizione dell’alienazione parentale: “Si tratta di un disturbo dell’infanzia che si sviluppa quasi esclusivamente nel contesto delle dispute sulla custodia dei figli. La sua manifestazione primaria è una campagna ingiustificata di denigrazione del bambino nei confronti di un genitore e risulta dalla combinazione di indottrinamenti (lavaggio del cervello) da parte di un genitore e di contributi propri del bambino. La denominazione stessa del disturbo permette di comprendere i meccanismi sottostanti la combinazione di questi due fattori contribuenti”. A questa prima classificazione, Gardner aggiunse in seguito altri elementi, individuando otto sintomi specifici che coincidono, in linea generale, con le analisi effettuate successivamente da altri autori: campagna denigratoria verso uno dei genitori; razionalizzazioni deboli, superficiali e assurde per giustificare il biasimo; mancanza di ambivalenza; fenomeno del pensatore indipendente; appoggio automatico al genitore alienante nel conflitto genitoriale; assenza di senso di colpa per la crudeltà e l’insensibilità verso il genitore alienato; utilizzo di scenari presi a prestito; estensione dell’ostilità alla famiglia allargata e agli amici del genitore alienato.

Ed invero, proprio in ordine a quest’ultimo precipuo profilo, spesso uno dei coniugi nel corso di una separazione viene ingiustamente fatto oggetto di accuse da parte dell’ altro coniuge. In particolare, in quest’ epoca nella quale si assiste anche all interno delle famiglie al nefasto dato statistico e fattuale che vede sempre più spesso che uno dei due coniugi perda il posto di lavoro, quindi anche sotto un profilo squisitamente giuridico il medesimo dovrebbe essere considerato quale parte più debole, per converso, si verifica che nel corso di una separazione il prefato status di disoccupazione viene fatto oggetto di una vera e propria campagna denigratoria ed offensiva da parte dell’altro coniuge che lo incolpa innanzi anche agli occhi del figlio di non avere un’occupazione facendogli pesare la conseguente impossibilità a partecipare alla contribuzione delle esigenze in primis, della famiglia, del figlio, ecc. il tutto non può che comportare in capo al soggetto che subisce tali comportamenti un indebolimento di sicurezza in se stesso e una correlata alienazione parentale subita dal figlio che lo percepisce quale genitore più debole anche sotto il profilo economico.

Come si comporta il legislatore?

Il legislatore riconosce, in caso di separazione o divorzio dei coniugi, un assegno di mantenimento al coniuge economicamente più debole, il problema, semmai, consiste nel comprendere cosa si intende per coniuge economicamente più debole: sicuramente in questa definizione rientra il coniuge che non percepisce alcun tipo di reddito (conformemente all’ipotesi più comune), ma nella medesima definizione rientra addirittura anche quella in cui il coniuge richiedente il mantenimento è titolare di redditi propri, ma, tali redditi non gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello di cui ha goduto durante il matrimonio. In altre parole, la legge non riconosce l’assegno solo per il coniuge disoccupato o senza reddito, ma il legislatore riconosce l’assegno di mantenimento anche al coniuge che ha redditi propri, quando tali redditi non gli consentono di mantenere lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio.L’alienazione parentale comporta dei danni anche di natura morali in capo al figlio che la subisce, che possono in alcuni casi far propendere anche a voler stare con uno soltanto dei genitori, percependo l’altro come negativo in quanto oggetto di campagna di alienazione da parte dell’ altro genitore, con la conseguenza di un affidamento esclusivo a beneficio del coniuge alienante. Si auspica un intervento anche normativo che miri a punire anche penalmente il coniuge c.d. alienante.